20-01-2021 | Vita di Oympia 3000
Ci siamo lasciati nell’ultimo articolo con una domanda: “Come superare un momento così carico di ansia come quello che stiamo vivendo?”
La mente ci può aiutare a diventare più forti nelle difficoltà. Quando? Come?
Per farlo dobbiamo ricercare prima di tutto un’attività che ci appassioni.
L’attività sportiva è uno svago piacevole: il corpo si muove, la fatica dona soddisfazione e il benessere emotivo cresce.
Ma in questo periodo in cui anche lo sport è limitato possiamo ottenere lo stesso risultato?
Vi proponiamo questo breve racconto.
“Per un periodo ho lavorato come stagionale nei luoghi di villeggiatura. Alla fine della primavera lasciavo la città e mi trasferivo sulla costa, ogni anno in una località diversa girando per bar e ristoranti finché qualcuno non mi prendeva in prova.
Cucina, di solito. Mi proponevano i lavori da gavetta: asciugare i calici, lavare i piatti, affettare le cipolle, occuparmi dei fritti, scaldare e impiattare le portate più semplici come le lasagne e le parmigiane. Oppure tagliare le mozzarelle di bufala e disporle sul piatto, adagiate su un letto di insalata con i pomodori, una presa d'origano, pepe, sale, il filo d'olio crudo e, per una perfetta Caprese, un bel fiore di basilico.
Le cucine erano caldissime, disordinate, spesso sporche, così diverse dai palcoscenici televisivi degli chef stellati; ordinarie, quotidiane, illuminate da tubi al neon, con il clangore aritmico del pentolame potevano sembrare un qualsiasi laboratorio o una piccola catena di montaggio.
Nel picco della stagione estiva c'era da correre più che in fabbrica, perché non eravamo mai in molti a tagliare, grattugiare, guarnire, affettare o caricare la lavastoviglie nell'angusto spazio dove si mescolavano invisibili nubi di odori pungenti e di profumi, verdura fresca, olio bruciato, aceto caldo, cioccolato, brace.
C'è una cosa che ricordo di quelle giornate e serate, di quei momenti di sovraffollamento quando la lavagna delle comande straripava di foglietti scritti in fretta e in cui poche persone riuscivano in così poco tempo, a cucinare per così tante.
L'ho visto succedere più volte, e in posti diversi: quando il ristorante si riempiva, il personale iniziava a muoversi come in una danza. Seguendo una coreografia di gesti ripetuti con paziente rapidità e precise traiettorie, scivolando dai banchi da lavoro ai fornelli costruivamo i piatti e componevamo gli ordini sul passe, poi in un turbine sudato di camicie bianche e pantaloni neri arrivavano i camerieri a portarseli via, giocolieri privi di monociclo ma capaci di volteggiare per la sala con due piatti per mano e uno per braccio; infine altri camerieri entravano con pile di piatti sporchi e bicchieri macchiati di rossetto e posate unte e sferragliando depositavano il loro carico davanti ai lavapiatti, umidi e increduli.
I quali, dopo aver lavorato di spugna, paglietta e detergente, rimettevano padelle e stoviglie nuovamente splendenti a disposizione di cuochi sempre più macchiati da schizzi e colature.
Con le squadre affiatate spesso non c'era nemmeno bisogno di parlare o comunque si parlava poco. Allora, quando la vampata e il bagliore di un flambé mi distoglievano da quel che stavo facendo, mi soffermavo qualche secondo e osservavo quasi compiaciuto quel circolo dantesco funzionare come un orologio, e proprio in mezzo ad esso la sparuta schiera di dannati silenziosi che fra subbuglio di pentoloni, volute di vapore, fiammate al brandy e ribollire di salse accompagnavano le pietanze dal frigo al tagliere, dalla padella al piatto, trasformandole in ogni fase, profumando insaporendo e abbellendo le materie prime, ognuno con la propria perizia e secondo una personale competenza, con una sinergia che si perfezionava mano a mano che aumentava il volume di lavoro.
Nonostante la fatica, il calore, il frastuono e i vapori etilici del brillantante industriale, i tagli sulle dita, le bruciature sui polsi e i piedi indolenziti da tanto trottare, a battaglia finita ci si guardava tutti soddisfatti per qualche attimo, consci che erano quei momenti a darci l'energia per ripresentarci il giorno successivo a saettare tra il forno e il freezer dei gelati cercando di placare l'appetito e la sete di un'altra rumorosa orda di turisti.
Anni dopo ho sentito parlare del Flow, e mi è venuta in mente questa storia.”
Sperimentare lo stato di Flow, quella particolare condizione psicofisica in cui tutto te stesso è concentrato su ciò che stai facendo in quel preciso istante, contribuisce al miglioramento della performance sportiva e all’incremento del tuo generale benessere. Ti sei mai sentito così?
Andrea Colombo
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