26-02-2021 | Vita di Oympia 3000
I dati ISTAT ripresi dal Prof. M. Mondoni, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, in una riflessione più recente sulla pratica sportiva nel nostro territorio, rilevano che i tassi di sedentarietà siano da record.
In Italia meno di un adolescente su tre pratica attività fisica o sportiva.
Il cosiddetto “drop-out”, inizia molto presto.
Infatti a quindici anni, meno di un ragazzo su due pratica attività fisica continuativa ed a diciotto anni, meno di un adolescente su tre pratica qualche attività sportiva. Si sta abbassando sempre di più l’età di abbandono precoce, iniziando già dal termine della Scuola Primaria.
Tra il 2019 e il 2020 possiamo osservare un calo significativo di ragazzi che praticano sport continuativamente: tra gli undici e i quattordici anni siamo passati dal 56% al 50,4%; tra i quindici e i diciassette siamo al 32,7%; calo che diventa direttamente proporzionale alla crescita evolutiva.
Abbiamo chiesto a chi è sempre stato accanto ai settori giovanili di raccontarci cosa sia cambiato; la voce di chi li osserva e li accompagna nello sport tutti i giorni.
Nel settore giovanile, troviamo diverse figure di riferimento: il coach che si occupa dell’allenamento sul campo; il procuratore che si prende cura del valore futuro dell’atleta e del suo rapporto con le società; la Federazione e il CONI che intervengono nei passaggi di categoria a livello nazione ed internazionale.
Sono proprio queste persone che, attraverso un progetto di interviste, abbiamo coinvolto in Psicosport per comprendere meglio gli atleti nelle varie fasi di crescita.
In riferimento al Covid-19 i nostri esperti Marco Aloi, Mauro Beretta, Giovanni Mauri, Marco Riva ed altri importanti esponenti sportivi, si sono espressi all’interno dei loro contributi.
Vi riassumiamo ciò che hanno evidenziato.
Oltre alla discesa degli indici di pratica sportiva, quello che preoccupa maggiormente è il numero crescente di giovani sedentari - ovvero coloro che non praticano alcuna disciplina fisica - che arriva a toccare il 30% della popolazione tra i diciotto e i diciannove anni.
Se questo è lo scenario italiano degli ultimi anni, cosa è successo con l’arrivo del Covid19 che ha stravolto la quotidianità ed ha impattato sul modo di gestire il proprio tempo?
I giovani si sono trovati improvvisamente immersi in una realtà emergenziale, lontani dalla scuola e dagli amici, due fattori che concorrono allo sviluppo dei nostri ragazzi.
Abbiamo attraversato un anno caratterizzato da limitazioni di ogni genere, che hanno pesato in maniera differente in base all’età. Il nostro target di riferimento si è suddiviso in due macro categorie: chi aveva più tempo da dedicare a se stesso e ha cercato di sfruttarlo, sperimentando anche qualcosa di nuovo, e chi ha forse perso la percezione delle lancette che scorrevano sugli orologi di tutto il mondo.
Lo sport rappresenta da tempo una risorsa fondamentale per il benessere individuale e, per i più giovani, costituisce un tassello essenziale per l’educazione e l’insegnamento della disciplina, del rispetto per gli altri, per se stessi e il proprio corpo, aiutando anche a prevenire l’intraprendere strade devianti.
Quello che ci ha tolto il Covid-19 è stato il tempo da passare con gli altri, ma allo stesso tempo ci ha regalato il tempo per stare con noi stessi.
Dal primo DPCM nel marzo 2020, le limitazioni sono cambiate e con loro siamo cambiati noi: si poteva uscire individualmente a fare attività fisica; ci siamo evoluti con l’aiuto della tecnologia per allenarci in casa; abbiamo inventato palestre laddove prima non esistevano.
Ci siamo trovati di fronte alla scelta tra il prenderci cura di noi stessi e l’abbandonarci allo scorrere del tempo.
Chi la prima strada l’aveva molto chiara già da prima, è stata forse la popolazione più colpita: i settori giovanili.
Ragazzi che hanno da sempre cercato di far coincidere tempo, studio e allenamenti per raggiungere i loro obiettivi.
Stiamo parlando degli stessi atleti che, seppur in minoranza, già praticavano sport continuativamente, a livello agonistico, o stavano entrando nel mondo dei professionisti.
Hanno dovuto fare un ulteriore sacrificio, rinunciando al loro pane quotidiano fatto di sfide, relazioni e risultati. Molti allenatori, molte società e federazioni sono “corse ai ripari” cercando di stare il più possibile vicino alle loro giovani promesse, pur consapevoli che l’ingrediente fondamentale dello sport, la presenza, non c’era più.
Qualche giovane ha superato questa grande sfida ed ha ripreso ad allenarsi più motivato di prima; altri invece quella motivazione, l’hanno persa.
Emerge da parte di tutti gli attori in campo una forte perdita di entusiasmo, la perdita del piacere di stare insieme perché lo sport, che sia individuale o di squadra, è relazione.
Proprio la relazione con gli altri, che la pandemia ha congelato, ha portato con sé il dover gestire da soli lo stress e le preoccupazioni per il futuro; molte società hanno avuto notevoli perdite economiche e oggi sono chiamate a investire per re-inventarsi, per adattarsi alle misure di sicurezza e creare protocolli di re-inserimento e ricostruzione del clima motivazionale che lo sport regala.
Come in tutte le difficoltà, occorre cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Oggi è necessario ripartire e ricostruire partendo dal cambiamento di prospettiva, del modo di pensare; dobbiamo trasformare la difficoltà in una risorsa che ci renda più forti di prima.
Riprovare il piacere di allenarsi, di condividere, di poter stare all’aria aperta.
Dobbiamo lavorare sul capire chi vogliamo essere da grandi, occorre ripartire dai giovani che danno futuro allo sport italiano, che sono l’anima delle società e delle federazioni, concentrandoci sul trasmettere i lati positivi di ciò che il Covid-19 ci ha insegnato e sulla motivazione.
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