Scatto fotografico dell'amico subacqueo Gianpaolo Codispoti



21-06-2021 | Medicina dello sport

La Subacquea: dai pescatori di perle al primo ARA.


Una muta confortevole, la maschera su misura, il GAV – giubbotto ad assetto variabile – che si gonfia e si sgonfia a comando, le pinne per nuotare.
E poi le bombole, collegate con apposite fruste a due erogatori e al manometro. Al polso un piccolo e leggero computer subacqueo che ci da tutte le indicazioni necessarie sull’immersione, le eventuali tappe di decompressione da effettuare, la profondità alla quale siamo, la temperatura dell’acqua.
In inverno, abbiamo persino la possibilità di indossare la muta stagna e di mantenere il corpo caldo durante l’immersione.
Oggi abbiamo a disposizione un’attrezzatura sofisticata e comoda che ci permette di praticare l’attività subacquea con facilità, rendendo l’immersione un’esperienza emozionante.

Non è sempre stato così: ci sono voluti anni prima di avere una tecnologia innovativa che permettesse all’uomo di raggiungere le profondità marine respirando, come i pesci.
Quello che noi definiamo il gruppo ARA – auto respiratore ad aria – venne messo a punto già nel 1800, con l’obiettivo di lavorare anche sott’acqua. Ma andiamo con ordine.

In alcuni disegni di Leonardo da Vinci si possono riconoscere dei modelli di pinne, o comunque di attrezzi da mettere ai piedi, con i quali poter nuotare e avere più spinta.
Altri disegni di un’opera del 1500 conservata presso la Biblioteca Centrale di Zurigo mostrano degli uomini che nuotano con delle appendici applicate agli stivali.
Non solo: la copertina del libro L’insidia sottomarina, come fu debellata scritto da Ettore Bavetta nel 1919, riporta il disegno di un umanoide che indossa delle vere e proprie pinne, segnale che non venne colto subito: si dovette aspettare infatti il 1923 quando De Corlieu inventò le pinne come mezzo di propulsione per nuotare in acqua.
Le pinne sono considerate una delle più importanti invenzioni del XIX secolo per il mondo della subacquea: senza le pinne, oggi saremo ancora costretti a camminare sul fondo come i palombari.

Da quello che si evince in alcuni libri, sembra che un tempo i pescatori di perle si immergessero indossando degli occhiali in tartaruga e con una molletta al naso per trattenere il respiro.
Leonardo da Vinci disegnò diverse volte delle maschere che coprivano gli occhi e il naso degli uomini, usate per fare immersioni, ma non abbiamo alcuna testimonianza certa sul fatto che vennero realizzate.
La vera svolta si ebbe nel 1828, quando Lemaire d’Augeville, un dentista parigino, brevettò un respiratore ad aria che chiamò Appareil Pneumato-nautique. L’aria era contenuta in una bombola posizionata sulla schiena del sommozzatore, una valvola la collegava ad un sacco tipo polmone posto sul petto dal quale era possibile respirare grazie ad un tubo che arriva alla bocca.
Un rubinetto permetteva di svuotare l’aria viziata dal sacco e immetterne di fresca.
Il sommozzatore aveva anche una cintura con dei piombi per restare sul fondo. Non è tutto: nei disegni del parigino il sub indossava una maschera in rame con una guarnizione e due vetri, che ricopriva occhi e naso, lasciando però libera la bocca.
Nonostante questa attrezzattura venne brevettata nel 1828 da Lemaire, non fu mai adottata.

Un secolo più tardi, tra il 1913 e il 1921, il giapponese Riiki Watanabe inventò un autorespiratore con il quale raccontava di aver effettuato immersioni fino a -100mt di profondità: si trattava di un sistema di erogazione ad aria alimentato da serbatoi ad alta pressione posti in superficie. La soluzione, perfezionata, divenne presto un ARA brevettato in Giappone e adottato dalla Marina.
La maschera di Watanabe era composta da un vetro ovale e un corpo in gomma che chiudeva occhi e naso.

All’Esposizione di Parigi del 1925, venne presentato da Vincent Fernez un sistema di immersione composto da un paio di occhiali, uno stringinaso e un boccaglio collegato ad una manichetta da cui arrivava l’aria da una pompa a mano posta in superficie. Solo successivamente si aggiunse un sacco-polmone come equilibratore di pressione da appoggiare alla schiena del sommozzatore. Si può dire questo sistema ispirò tutti i successivi ARA progettati per le immersioni.
Primo fra tutti quello pensato dal Comandante Le Prieur nel 1933, composto da una maschera che copriva naso, occhi e bocca, una bombola, una frusta a bassa pressione collegata direttamente alla maschera che permetteva di far arrivare l’aria direttamente nella maschera disappannandola, scaricata da una valvola superiore.

Furono diversi gli occhialini e le maschere inventate negli anni: piccoli, grandi, che coprivano naso e bocca o solo il naso.
La versione più moderna di ARA venne inventata da Georges Commeinhes, in realtà come soluzione per sopravvivere in ambienti tossici, modificata per essere usata anche in subacquea.
Geoges progettò un autorespiratore bi-bombola – il GC42 – dotato di un erogatore collegato con un tubo corrugato alla bombola. L’aria espirata fuoriusciva da una valvola posta sulla maschera. Con questo respiratore, nel 1943 si effettuò un’immersione a -53 metri.

Grazie poi all’erogatore messo a punto da Cousteau-Gagnan, si raggiunsero i -62 metri.
Dopo la II Guerra Mondiale, la produzione di attrezzatura subacquea divenne industriale e nel 1954 Egidio Cressi inventò la maschera Pinocchio, quella con la forma del naso come la conosciamo noi oggi.

Da qui in poi è storia moderna.
Sono numerose le innovazioni nel campo della subacquea che oggi consentono all’uomo di raggiungere profondità mai immaginate fino a cinquant’anni fa e che permettono di esplorare con sempre maggiore attenzione i mari e gli oceani alla scoperta di una flora e una fauna eccezionali.



Tiziana



Fonte dell’articolo: “Subacquea Gocce di Storia” di Faustolo Rambelli – Editrice La Mandragora 2006



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